ARCHIVIO GITE 2014: Passo delle Mangioire 2765m

11 maggio 2014 Che occasione per restituire lo smalto antico alla mia immagine un po’ appannata di capogita che tenta disperatamente di resistere all’inesorabile attacco del tempo che scorre sempre più in fretta! Figuratevi: una gita in casa mia, sulle montagne che conosco come le mie tasche! Devo riconoscere che per questa eccessiva sicurezza, proprio qui ho collezionato una bella serie di cappelle, e infatti quelli che oggi si erano affidati a me con una certa perplessità, sono sicuro che mi aspettavano malignamente al varco, per prendermi come al solito in castagna. Anche se esiste sempre l’incognita del tempo, avevo quindi programmato tutto alla perfezione. Di neve non ce n’era più per il Ghicet di Sea? Ecco pronta una splendida gita di tallone, che avevo concordato assieme all’amico Enrico: il veterinario di Balme, che negli ultimi giorni aveva trascurato un po’ mucche, cani e gatti, per battere, dietro mie pressanti insistenze, tutte le gite ancora fattibili. E cioè il classico Passo delle Mangioire, per di più mascherato con un altra gita semisconosciuta: la Punta Loson, tanto per stuzzicare la curiosità di qualcuno. In più avevo anche rischiato di incappare nella Forestale, nel corso di una incursione al Pian della Mussa, ancora chiuso al traffico, per controllare personalmente la situazione. Non potevo quindi permettermi nessun errore, anche se i primi bastoni fra le ruote me li sono trovati già al giovedì sera. Perché avevo avuto la malaugurata idea di completare la gita con una bella serata in loco, visto che adesso questo aspetto, pare abbia ormai più importanza della gita stessa. La scelta del rif. Ciriè, mi aveva complicato un po’ la vita, perché i partecipanti erano da suddividere in varie categorie: quelli che non dormivano lì ma mangiavano, quelli che dormivano e mangiavano, quelli che non mangiavano e non dormivano. Fra questi poi c’erano le sottocategorie. Quelli che facevano la gita e quelli che non la facevano. Alla fine si sono aggiunti anche quelli che volevano fare la gita con le ciaspole. Bel casino! Impeccabile comunque la mia scelta sul Ciriè. E soprattutto sul suo scoppiettante custode, il famoso Virgilio, che aveva provveduto con un quintale di sale ad attirare sopra di noi, un comitato di accoglienza: penso tutti gli stambecchi del Pian della Mussa! Un’idea che mette in atto molto spesso, a giudicare dalle condizioni dei prati sovrastanti, che sembrano un campo di addestramento per artiglieria pesante. La cena poi è stata all’altezza della fama di questo curioso personaggio, di cui comunque pare che la cosa più apprezzata da noi, sia stata la moglie moldava che ce la serviva. Beh, parliamo della gita, adesso. Intanto, col caldo di quest’ultima settimana la neve s’era squagliata, come si suol dire, “come neve al sole”. E allora le prime discussioni nascono su come attraversare la mattina la Stura, un problema che non c’era l’altra settimana. Magnanimamente accetto l’idea di Giuliano di allungare il percorso di un quarto d’ora, ma solo per non correre il rischio di farne cascare qualcuno nell’acqua al mattino alle sette. Un episodio di questo genere avrebbe eliminato definitivamente la mia fotografia fra i capigita della GEAT.

La mattina le condizioni del tempo non stuzzicano propriamente l’entusiasmo dei miei compagni. Ma per fortuna che è con noi il “Superesperto” della zona: il famoso autoctono Giorgio Inaudi, che, annusando l’aria, mi tranquillizza: è solo un po’ di “Gunfia” (a Balme è quasi sempre presente, questo antipatico fenomeno atmosferico): ”Quand’è così, il sole va e viene”. Intanto partiamo sotto l’acqua. Assieme a una comitiva di baldi giovani diretti anche loro alle famigerate “Mangioire”, che perdiamo subito di vista perché attraversano la Stura proprio dove volevo passare io. Poi in mezzo agli ontani, che hanno aspettato adesso per liberarsi dalla neve che li aveva schiacciati tutto l’anno, perdiamo subito di vista i “ciaspolari”. Fra i quali, ahimè, Giorgio Inaudi, su cui puntavo tutte le mie carte. Arriviamo così, al colle del Tovetto,senza sci perché lì non c’è più la neve. In compenso, questa sta venendoci sulla testa con una intensità incredibile. Dal “Campo Base” (il Ciriè), Franco ci avvisa per radio (che per una volta funziona), che lì sotto diluvia e con la soddisfazione di quello che, avendo già capito tutto, è rimasto a dormire. Lo ignoro, e dopo un breve combattimento con i miei “Dynafit”, che non hanno nessuna simpatia per gli omonimi scarponi, mi lancio all’inseguimento dei miei amici impegnati in un traverso di neve marcia, ontani e pietre, dove passa la traccia di quelli che oggi hanno avuto le nostre stesse malaugurate intenzioni, che ci porta dentro il vallone vero e proprio delle Mangioire, e che indoviniamo solo, in mezzo a questa tormenta di neve (ma Giorgio non aveva detto che con la “gunfia” il sole va e viene?!). Sotto un roccione, a un certo punto, si bloccano tutti per aspettarmi: “Cosa vuoi fare?” E’ la domanda del più coraggioso. Che significa: “non sarai mica così scemo da andare avanti!”. E’ in queste situazioni che viene fuori la stoffa del Capo. Ignorando anche questa provocazione, prendo decisamente il comando della situazione, seguendo quello che rimane delle tracce di una guida locale (Livio Berta) che con il suo cane ci è appena sfrecciato davanti, scegliendo, sul canale che si sta facendo sempre più ripido, sempre linee di massima pendenza, per fare più in fretta. Ogni tanto consulto disperatamente l’altimetro, per vedere quanto manca a quel maledetto Passo, ma non mi ricordo più la sua quota esatta! Poi, quando la pendenza si attenua, finalmente indovino, nella nebbia, le due lame di roccia, le”Mangioire” appunto, donde il nome di questo colle, utilizzato soprattutto dai contrabbandieri del caffè, che poi lo portavano a tostare ai Fré (comune di Balme), e qui li beccavano sempre, a causa dell’odore. Finalmente poi, vedo un paio di sci piantati nella neve sotto un sporgenza di Roccia, segno inequivocabile che la gita finisce lì e non sulla cresta sovrastante dove tira un vento della forca. 30 metri guadagnati: mica poco, in queste condizioni. Altro che andare alla Punta Loson! Non c’è bisogno di fare premura a nessuno per prepararsi per la discesa: mentre armeggio, quasi con le lacrime agli occhi, con i miei “Dynafit”, sono già tutti partiti: per fortuna c’è Giuliano, che mosso a compassione, riesce ad aiutarmi in quello che è diventato un altro motivo per farmi odiare lo scialpinismo. Tutto sommato, a parte il sottoscritto, la discesa pare che per gli altri non sia stata così negativa come si pensava. E comunque, nessuno lo dice, ma tutti lo pensano, non vediamo l’ora di essere dentro a degli indumenti asciutti con le gambe sotto un tavolo del rifugio: Franco non fa mistero della bontà della pastasciutta che sta mangiando a quattro palmenti (maledette radio!). Sui prati del colle del Tovetto, per non scendere poi a piedi, non mi tolgo neppure gi sci, che non sono sicuro di riuscire a rimettere, mentre gli altri scompaiono già in mezzo ad ontani, lingue sporadiche di neve, rocce e larici, senza nessun rispetto per il capogita. In ordine sparso, naturalmente, attraversando la Stura questa volta dove capita, stranamente arrivano poi proprio tutti, senza bisogno di andare ad aspettarne nessuno al fondo del Pian della Mussa, trascinato dalla corrente. Ringraziamenti per la bella gita che ho combinato? Ma neanche a parlarne: solo un commento è degno di nota: “ Sempre meglio che stare tutto il giorno davanti a un computer a lavorare”. Sarà: Ma non ne sono così sicuro: anche perché io preferisco un computer ai miei stramaledetti “Dynafit”….

Alberto Marchionni

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© Foto di Luciano Alemanno

 

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