ARCHIVIO GITE 2014: Sardegna nordoccidentale

17-25 maggio 2014 Questa parte della Sardegna non si può dire sia poco frequentata. Tuttavia appare meno battuta e quindi conserva ancora dei luoghi intatti che vale la pena di visitare prima che venga investita da quei fenomeni ben noti, ed in parte già presenti, produttori di degrado ambientale.

Trasferimento aereo Sabato 17 maggio
Con il volo Easyjet delle 10.40 lasciamo la Malpensa diretti ad Alghero. Con rotta su Genova e sorvolando la costa occidentale della Corsica, atterriamo all’aeroporto di Fertilia dopo circa un’ora di volo. Il monte Cinto appare ancora innevato, ed il gruppo di cui fa parte mette bene in evidenza la natura montuosa di quest’isola, assai più che la vicinissima sorella. Dopo aver incontrato Angelo e Mario della Naturaliter, con il pullman percorriamo, dopo aver attraversato Alghero, la bella strada panoramica che collega Alghero a Bosa, dove siamo diretti. Realizzati qualche decina di anni fa, questi trenta chilometri rispettano la morfologia di quel tratto di costa, percorrendola ansa dopo ansa, senza viadotti e con scarso impatto ambientale. Pare che qui dimorino, oltre ai mufloni, anche alcune coppie di grifoni. Alle 13.30 siamo all’albergo e alle 16 siamo in partenza per il castello, che scorgiamo verso est ed in posizione dominante su una altura. Si tratta del castello Malaspina. Del suo periodo aureo, oltre alle mura perimetrali, rimane assai poco. Di maggiore interesse è invece la chiesa Regnus Altus, con gli affreschi interni riemersi in tempi relativamente recenti. L’abitato di Bosa ed il percorso sinuoso dell’ultimo tratto navigabile del fiume Temo, ci appaiono dagli spalti immersi in una abbacinante luce pomeridiana. Sempre accompagnati dalla guida locale, scendiamo al ponte vecchio, nei pressi del quale si trova la cattedrale, che visitiamo. Un porto canale ospita numerose piccole imbarcazioni da diporto e qualche barca da pesca. Delle reti al sole, poste ad asciugare sul parapetto, ci accompagnano sul lungofiume, dal lato delle concerie, caratteristiche casette che ospitavano sia i laboratori sia i conciatori con le famiglie, in una attività artigiana tipica, ora del tutto cessata. Sulla riva opposta, perfettamente allineate, ci guardano delle magnifiche palme. Sicuramente lo scorcio più suggestivo della cittadina. Alcuni di noi, sempre seguendo il fiume, si spingono sino al mare, a Bosa marina, dove si trova un porto turistico protetto da una diga. La sera accompagniamo il piatto di fregola che ci viene servito, con il pane carasau. Alcuni di noi lo assaggiano per la prima volta.

Lungo la costa a sud di Bosa Domenica 18 maggio
Preceduta dalla distribuzione dei viveri per il pic-nic, la nostra giornata inizia con il trasferimento, via pullman, alla cala di Porto Alabe, nel comune di Tresnuraghes. Si tratta di una escursione lungo il mare, tra calette, piccoli promontori rocciosi, tratti di costa alta, isolette e faraglioni, il tutto accompagnato dai colori vivaci della macchia mediterranea. Il sentiero difficilmente corre in piano: segue l’andamento irregolare della costa. Al termine totalizzeremo un massimo di 200 m di dislivello, per una lunghezza di una decina di chilometri. Numerose le torri che possiamo osservare, testimoni silenziose dei lunghi tempi in cui abitare questi luoghi significava misurarsi molto spesso con un aggressore che veniva dal mare. Come ci illustra la guida, queste costruzioni, migliaia su tutta la costa sarda, erano di tipo diverso, a seconda dalla funzione: difensiva o di semplice avvistamento. Le torri costiere che incontriamo sono quelle di Columbargia, Ischia Ruggia e Foghe. Mentre i faraglioni sono quelli di Corona Niedda. Un educato e simpatico cane pastore ci segue, ed è l’unico tra noi che oggi ha deciso di fare il bagno, immergendosi fino al collo in una pozza di acqua calda che mostra di apprezzare e ben conoscere. Giunti al termine del percorso, quattro ore circa, rientriamo col pullman, non dimenticando il pastore, che malvolentieri accetta di scendere dal mezzo, separandosi dalla compagnia presso la quale è riuscito a rimediare più di un boccone. Per la cena ed il pernottamento rientriamo all’albergo di Bosa.

Gita al Montiferru Lunedi 19 maggio
Questo massiccio di media montagna si trova a ridosso della costa, non lontano da Badde Urbana (962 m), e da Cuglieri dalla inconfondibile chiesa. Programmata come escursione ad anello, ci portiamo su una delle due punte, la più alta delle quali misura 1050 m. Il tempo atmosferico non ci ha favorito: una spessa cappa di nuvole staziona sull’area, determinando un abbassamento della temperatura ed anche pioggia a tratti. L’abbigliamento che siamo costretti a sfoggiare è quasi di tipo invernale. E pensare che il mare e la piana che intravediamo tra una folata di nebbia e l’altra, ci appaiono inondati di luce. In prossimità di una muschiosa sorgente, decidiamo di fare tappa per il picnic. La guida cerca di riscaldarci snocciolando dati e notizie sulla natura geologica del monte, nonché su qualche endemismo locale. Anche qui pare stazioni una coppia di grifoni, alimentati però dalle guardie forestali, visto che le carogne di cui si nutrono sono via via più difficili da reperire. Lasciato alle spalle, con un certo sollievo, il Montiferru, ci portiamo al paese di Santu Lussurgiu, dove visitiamo una coltelleria artigianale. In questa piccola azienda vengono realizzati i tipici coltelli sardi, ma non solo, visto che tra i prodotti figurano anche i morsi degli asini e dei cavalli, grossi coltelli da macelleria, set di coltelli da tavola, e così via. I manici vengono costruiti con le corna di bue o di muflone, facendo lievitare non poco il costo di questi manufatti. Una bella testa di muflone, posta su un tavolo, ci osserva con attenzione; e così non possiamo dire di averne visto almeno uno. Prima di raggiungere il posto tappa di questa sera, ci fermiamo, sotto la pioggia, presso il sito archeologico di Tamuli, dove si trovano alcune tombe dei giganti, nient’altro che tombe nuragiche, dei menhir, detti anche betili, ed un grosso nuraghe diroccato. Il tutto ci viene ben illustrato da un preparato ed enfatico cicero locale. Uno dei quattro fratelli La Marmora, Alberto, tutti generali, dimostrò un particolare interesse archeologico per questo sito, promuovendo studi e ricerche sulla civiltà nuragica, di cui ben poco sappiamo, anche perché non ci è giunta alcuna testimonianza scritta. Siamo ormai sul far della sera, ed urge trovare una sistemazione. La troviamo presso il grosso complesso alberghiero di Bolòtana, dove consumiamo la cena e pernottiamo. Qui ci vengono presentati alcuni prodotti agricoli locali attraverso una riuscita degustazione. L’olio d’oliva pare riscuotere un consenso generalizzato; la sua fragranza viene esaltata dal pane carasau su cui viene versato.

Cima del Marghine Martedi 20 maggio
Sempre nel territorio di Bolòtana si trova il gruppo montuoso del Marghine. In realtà non si tratta di un monte tradizionalmente inteso, ma di un altopiano roccioso di natura vulcanica, quasi un tavolato, che emerge con quote che si attestano sui mille metri. Con circa 20 min di pullman raggiungiamo la base di partenza. Qui troviamo la nostra guida con la quale percorriamo circolarmente il variopinto parco di Pabude, non solo ricco di fiori, ma anche di acqua, essenze rare, cavalli e guardie forestali. In un ombroso boschetto, il nostro Gavino trova finalmente il suo omonimo sardo: è un gran giorno per entrambi! In realtà, quello sardo è più noto come Gavineddu: un simpatico vezzeggiativo, non trovate? Non lontano dal luogo dello storico incontro, sorge un complesso nuragico detto anche circolo megalitico per la presenza di grosse pietre disposte a cerchio, per delimitare l’articolata struttura posta al centro ed in posizione più elevata. Raggiungiamo infine Punta Palai, 1200 m, da cui si domina l’abitato di Bolòtana. Questa montagna, come anche un vasto territorio circostante, fu di proprietà di Benjamin Piercy, un ingegnere gallese incaricato di realizzare, nei primi anni del neonato Regno d’Italia, la rete ferroviaria dell’isola. Qui fu sepolto Gerhard, uno dei quattro figli. Una rustica pietra tombale ne riporta il nome. La colazione la facciamo in un ombroso boschetto, a base di pane condito, pecorino, pomodori e ricotta col miele. Scesi dal monte, con il pullman raggiungiamo Castelsardo, di cui visitiamo il castello e la bella chiesa posta sotto uno sperone roccioso. Successivamente prendiamo alloggio presso un albergo di Sora, a pochi passi dal mare. Dopo cena si balla al suon della taranta calabrese. Come sempre è il genere femminile che primeggia in questa disciplina sportiva.

Alla torre Falcone Mercoledi 21 maggio
Non convinti circa le condizioni del mare, ci portiamo comunque al porticciolo di Sistina, per prendere il battello che fa la spola con l’isola dell’Asinara. Ma oggi non si parte: il mare è troppo grosso per le dimensioni della barca, per cui è giocoforza ricorrere ad una escursione alternativa. Veronica ci conduce alla Torre Falcone, 189 m, posta in posizione panoramica e dalla quale si può agevolmente osservare l’isola piana e lo stretto canale, con bassi fondali, che la separano dall’Asinara. Tira un bel vento di Grecale, per cui sulla torre è meglio non restarci troppo. La natura che ci circonda è ricca di specie molto basse, in grado di resistere al vento che costantemente le investe. A tal fine, queste piante hanno messo a punto delle strategie vincenti atte a farle sopravvivere, ad esempio la forma a pulvino in grado di creare all’interno della struttura un microclima favorevole. Quando, per qualche ragione, questo ombrello protettivo viene danneggiato, la pianta rischia di morire. Pertanto Veronica ci prega di prestare attenzione a non calpestarle. Sempre con direzione N giungiamo ad un tratto di costa, relativamente alta, da cui parte verso una insenatura uno stretto canale roccioso che si apre a ventaglio. È qui che per la colazione troviamo rifugio dal vento, appollaiandoci a mo’ di gabbiani sui banchi di roccia che degradano verso l’acqua. Ripresa la via scendiamo alla nota spiaggia di Pelosa, dove alcuni surfisti combattono contro il vento, dentro e fuori dall’acqua, nel tentativo di domarlo. Come in tutte le arti, anche in questa c’è chi eccelle e chi invece deve accontentarsi di partecipare al grande gioco messo in atto dalla natura. Noi, più semplicemente, assistiamo alle loro evoluzioni, ringraziando Briatore che ha voluto onorare la Geat con la sua presenza, acconsentendo, prua al vento e occhiali da nocchiero, a posare in mezzo a noi per una foto ricordo. Per concludere in modo degno la giornata, visitiamo a Porto Torres la basilica romanica di S.Gavino, realizzata da maestranze pisane intorno al mille. Si tratta di una rara chiesa a doppia abside, dedicata al Santo più onorato in terra sarda. Con Proto e Gianuario, Gavino fu decapitato intorno al 303, sotto Diocleziano. Superba la appassionata descrizione della chiesa che ci fa la ragazza addetta alla biglietteria. Per finire ci conduce nella sottostante cripta, dove su tre lati sono allineate le statue raffiguranti diversi santi. S.Gavino occupa il posto d’onore al centro della scena, accompagnato, ai suoi fianchi, dagli sventurati compagni Proto e Gianuario. Il nostro Gavino non pare così interessato a questa statua che lo ritrae nelle vesti di un soldato romano. Lo è maggiormente davanti al ben proporzionato monumento equestre che si trova in basilica, dove il santo viene colto in sella ad un aitante cavallo. A cena dolce col miele: la seadas.

Dalla cala del Porticciolo a Portoferro Giovedi 22 maggio
Neanche oggi si naviga. Il Grecale continua. Per consolarci Erica ci porta alla cala del Porticciolo. Da qui, seguendo la costa verso N, tocchiamo varie calette, quali la cala Viola, quella del Vino, la cala del Turco, per approdare infine al margine della lunga spiaggia di Portoferro, la più frequentata dai locali durante il periodo estivo. In prossimità di una di queste cale, l’Università La Sapienza ha scoperto lo scheletro di un dinosauro vegetariano, la cui struttura, fatte le debite proporzioni, richiama quella della tartaruga. Questo ritrovamento, assai raro in Europa, confermerebbe l’ipotesi che, nella notte dei tempi, l’Europa fosse unita all’America in unico super continente, visto che tali ritrovamenti sono avvenuti anche là, ed assai più numerosi. Sempre presenti le torri, risalenti a varie epoche e a diversa destinazione. Lungo questo tratto prevale la colorazione rossa delle rocce, per la presenza del ferro. Al contrario, a Capo Caccia, dove ci spostiamo col pullman, prevale la falesia calcarea. Assai suggestiva l’alta, bianca costa che possiamo ammirare; di fronte a noi l’isola rocciosa di Foradada. Non distante, ma a noi invisibile, si trova la grotta di Nettuno, che alcuni di noi hanno avuto modo di visitare durante una escursione via battello in partenza da Alghero. Per raggiungere la nostra prossima destinazione alberghiera, costeggiamo la baia di Porto Conte, passiamo sul margine sud della piana bonificata di Fertilia e giungiamo ad Alghero, dove alla periferia sud si trova, sul mare, il nostro albergo. Uno solo della compagnia ha l’ardire di fare qualche bracciata nell’acqua non proprio calda della piscina. A cena ci aspetta un ottimo buffet di verdure varie, molto apprezzato dai commensali.

Isola dell’Asinara Venerdi 23 maggio
Oggi il Grecale ci consente finalmente di metterci per mare. Dopo circa un quarto d’ora di battello, dal porticciolo di Stintino, scendiamo sul molo dell’isola, poco distante dall’ex carcere di massima sicurezza di Fornelli, ora meta dei numerosi turisti che lo visitano durante il periodo estivo. Si tratta di una struttura detentiva le cui origini risalgono agli ultimi decenni dell’ ottocento, e si vede. Ne percorriamo i corridoi, le celle e i cortili interni, accompagnati dalle informazioni che ci fornisce la nostra guida. In realtà, sui 52 km quadrati dell’Asinara, erano dislocati ben dieci centri di detenzione, il più severo dei quali era quello di Fornelli. Qui furono rinchiusi noti personaggi della criminalità mafiosa sottoposti al 41bis, come pure alcuni brigatisti degli anni di piombo. La colonia penale dell’Asinara fu chiusa nel 1998, e tutta l’isola, con i suoi 17 km di lunghezza, fu dichiarata, fortunatamente, parco nazionale. Per completare la drammatica storia di questa terra, va qui ricordato il ruolo che ricoprì, durante la prima guerra mondiale ed oltre, come campo di internamento. Vi furono internati decine di migliaia di prigionieri austro-ungarici provenienti dalla tragica marcia della morte dell’esercito serbo attraverso i Balcani e sino a Valona. Qui, presi in consegna dagli italiani, furono imbarcati sulle navi e condotti sull’isola, dove un elevato numero di loro morì di colera. Anche un consistente gruppo di prigionieri russi transitarono all’Asinara, dove vennero trattenuti sino al 1920/21, in seguito alle note vicende rivoluzionarie del loro paese. Per saperne di più vedi I dannati dell’Asinara di Luca Gorgolini-Utet 2011. Lasciandoci alle spalle queste amarissime pagine di sofferenza umana, assai poco frequentate dai nostri libri di storia, guidati da Veronica, ci incamminiamo per la stretta strada che percorre l’isola, mentre alcuni di noi scelgono il fuoristrada. Al colle, con gradevole vista sulla parte nord, imbocchiamo a sinistra il sentiero che conduce al Castellaccio. Qui giunti ci godiamo il panorama e sostiamo per il picnic. Interessanti sia la flora che la fauna. Quest’ultima vive totalmente allo stato brado; non è difficile imbattersi in cinghiali, asini albini, cavalli e cavalieri d’Italia. Dopo aver sostato presso un pilone votivo dedicato a S.Gavino a cavallo, ridiscesi sulla costa, facciamo il bagno in un’acqua non proprio calda, essendo transitati nei pressi del cimitero cosiddetto degli Austriaci, di cui rimangono solo le mura perimetrali e i resti di una chiesetta dalle strane finestre orientaleggianti. Ogni segno o testimonianza del passato è stata cancellata. Riattraversato il canale in compagnia di una scolaresca, ci fermiamo a Stintino, dove qualche murales sta a ricordare che in questi mari si praticava sino a qualche decennio fa la pesca del tonno per mezzo delle tonnare.

Escursione all’Argentiera Sabato 24 maggio
Oggi partiamo da lago di Baratz, unico lago naturale della Sardegna, formatosi per sbarramento provocato dalle dune. Raggiunto il mare lo costeggiamo seguendone lo sviluppo costiero. Giunti alla prima torre, lasciamo sulla sinistra la striscia sabbiosa di Portoferro, per risalire, attraverso uno stretto sentiero, la macchia fitta che conduce ad un crinale. Superato quest’ultimo, ci troviamo immersi in una valle, in parte pascoliva ed in parte boscosa, relativamente impervia, perché piuttosto defilata dal mare e dai centri abitati. Questa terra fu il rifugio di un leggendario brigante: Giovanni Tolu, di cui si narrano le gesta nella biografia di Enrico Costa del 1897. Il sassoso ed umido versante nord (ricorda un po’ la Corsica) costituiva il bosco ceduo di lecci destinato alla produzione di carbone. Presso un grosso matriarcale leccio, Erica ci fa notare come questa pianta sia stata volutamente risparmiata, per la semplice ragione che è l’unica a garantire, per una certa area, la produzione di semi atti alla riproduzione. In questi casi si parla di piante matriciali, la cui presenza, uomini permettendo, è disciplinata da precise regole forestali. Giunti al culmine della nostra gita, in vista della costa, ci fermiamo per lo spuntino. Verso N, non distante dal mare, scorgiamo, giù in fondo, il paese di Argentiera verso cui siamo diretti. Il sentiero prosegue in costa, con gradevole vista sui dirupati pendii che danno sul mare. Incrociata una sterrata, la seguiamo sino all’abitato, preceduto da varie testimonianze circa il passato minerario di questa zona: imbocchi di gallerie, materiali di risulta ed impianti per la lavorazione del minerale in totale abbandono. Vi sono, inoltre, delle povere, semplici case di abitazione destinate ad ospitare i minatori e le loro famiglie. Qui operò per un certo tempo, come direttore della miniera, l’ing. Ottavio Garzena, nativo di Graglia, come pure un certo numero di operai piemontesi provenienti dalla Valchiusella. La storia di questa comunità mineraria, del tutto isolata per molti anni, e sottoposta per lunghi periodi dell’anno alla furia del Maestrale, fu dettata dalle esigenze estrattive dell’azienda, gestita con criteri paternalistico autoritari, caso certo non unico nella prima metà del ‘900. Ci fu un periodo in cui il minerale, di piombo, zinco e galena argentifera, veniva caricato sui velieri e trasportato nelle grosse fonderie dislocate in Belgio. Mentre il legname proveniente dalla Corsica, necessario per armare le gallerie, veniva gettato in mare nella baia di S.Nicolò e poi arpionato per portarlo a riva. Pare un tempo lontano, ma questa realtà dista da noi meno di un secolo. Dopo un bella camminata di sette ore, via terra rientriamo da questo sperduto angolo di Sardegna con un certo sentimento di partecipazione emotiva alle vicende dell’Argentiera e di questa regione che prende il nome di La Nurra. Ad Alghero facciamo man bassa di pecorino ed altre leccornie locali.

Rientro a Torino Domenica 25 maggio
Alle dieci lasciamo l’albergo per l’aeroporto, dove alle 12.30, sbarcato un’altro gruppo del Cai, ci imbarchiamo per la Malpensa. Un grazie, da tutti condiviso, va a Luisa, Mario, Angelo e Mario della Naturliter. Una speciale menzione va alle nostre guide, sempre competenti ed informate, che giornalmente hanno accompagnato il nostro gruppo e ci hanno illustrato questo interessante angolo di terra sarda.

 Renzo Panciera

 

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© Foto di Antonio Carretta

 

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