ARCHIVIO GITE 2015: Le gole di Creta Ovest

30 maggio – 6 giugno 2015: le peripezie di una banda di tavernicoli Dopo le nevi e i ghiacci dell’inverno torinese, sempre alle prese con ciaspole e pelli di foca, finalmente un bel trek mediterraneo, a cercare l’ombra degli ulivi e dei carrubi. Partiamo in ventidue per Creta occidentale, dove sosteremo non nelle solite piole delle nostre valli, con solito repertorio di tomini e acciughe al verde, ma in ospitali taverne, dove si banchetta con moussakà e souvlàki e soprattutto con l’onnipresente insalata greca. La taverna (si dice proprio così anche in greco) diventerà un punto di riferimento costante del nostro pellegrinaggio, tanto da meritarci, da parte di uno di noi, l’appellativo di “tavernicoli”. Ci attende sul posto il nostro Antonio di Naturaliter, che già abbiamo collaudato con successo lo scorso anno nel Cilento. Nei giorni successivi si unirà a noi anche il famoso Pasquale, che di Naturaliter è l’indiscusso capo carismatico. Arriviamo la sera tardi ad Eràklion, capoluogo dell’isola e (naturalmente nella taverna) impariamo le prime parole base di greco, calimèra, calispèra, evcaristò e cose del genere. Il giorno successivo incomincia il trek, ma non si cammina. La giornata è dedicata alla cultura e alla storia, perché Creta è la culla della civiltà occidentale. Entriamo subito in tema, perché il nostro autista si chiama Eracles (ed è davvero un ercole) mentre la nostra guida porta addirittura il nome della musa della poesia epica. Si chiama Callìope ed è innamorata dell’Italia, dove ha vissuto, e della sua terra. Con lei ci addentriamo nelle rovine del palazzo di Knossos (il famoso labirinto) e poi nel museo archeologico. Riviviamo le vicende di Minosse, del Minotauro e di Teseo, ammiriamo i dipinti famosi del Principe dei Gigli e della Dama dei Serpenti, ma soprattutto restiamo a bocca aperta davanti alle ceramiche di straordinaria modernità. Nel pomeriggio c’è il tempo per bighellonare per il centro della città, che conserva bei monumenti dei quattro secoli in cui fu colonia veneziana. In serata ci trasferiamo in un’altra città di qualche importanza, Chanià, da dove incominceremo il trek vero e proprio. Spendiamo la serata nelle animate viuzze del vecchio centro, dove gli innumerevoli ristoranti sono affollatissimi. Chi si aspettava di vedere i segni della crisi greca di cui tanto si parla in Italia, rimane favorevolmente sorpreso. Niente a che vedere con la processione di mendicanti e di questuanti cui siamo abituati nei ristoranti torinesi. Evidentemente in queste zone turistiche il denaro continua a girare. Il giorno successivo finalmente si calzano le pedule, ma non subito, perché trascorriamo la mattinata in bus, con una sosta in una fattoria dove comperiamo olio e miele ed ammiriamo un platano che vanta ben milleseicento anni. Nel pomeriggio, ahimè ben pasciuti e sotto un sole cocente, incominciamo finalmente a camminare, nel tratto tra Elafonìsi e capo Kriòs. Sono circa undici chilometri, da percorrere senza sorgenti e soprattutto senza taverne, una marcia malagevole tra sassi e sabbia. Unico sollievo, almeno per la vista, quando attraversiamo una spiaggia con numerosi bikini, topless ed anche qualche naturista. Chi non è accompagnato dalla moglie, allunga lo sguardo, mentre uno del gruppo scatta senza parere qualche foto con il teleobbiettivo. Qualcuno accusa la fatica, ma alla sera arriviamo senza perdite (soltanto due suole di scarpa) alla ridente cittadina di Paleochòra. La sera, al ristorante, incontriamo Caterina, una guida che alcuni i noi hanno conosciuto in altri trek. E’ una poetessa e il nostro Presidente organizza in suo onore la lettura di alcuni versi tratti da un inno a Zeus, di cui la stessa ha curato la traduzione in italiano. Il quarto giorno è di nuovo dedicato alla storia. I quindici chilometri di trasferimento a Soughià prevedono una sosta nell’incantevole sito archeologico di Lissos, una verde valletta rinfrescata da una sorgente sacra al dio Asclepio (Esculapio per i Romani), dio della medicina.

Visitiamo le suggestive rovine dei templi e poi, attraverso una ripida mulattiera e una stretta gola, arriviamo a Soughià, dove trascorriamo due notti. Le sistemazioni sono sempre assai confortevoli, ed è da segnalare come nei pianerottoli e nelle stanze, invece della banale bottiglietta di acqua minerale, si trova quasi sempre, offerta dalla casa, una caraffina di rakì (il liquore locale simile alla grappa). Il giorno successivo soltanto salita. Percorriamo le gole di Aghìa Irìni per circa ottocento metri di dislivello. Al termine ci attende il bus, non prima di una sosta in una ridente taverna la cui specialità sono le costine di agnello. Il mattino successivo affrontiamo il piatto forte del trek, le famose gole di Samarià, forse le più lunghe d’Europa (diciassette chilometri). Le affrontiamo in discesa, perché arriviamo in bus fino alla quota di 1250 metri sul livello del mare. Il paesaggio è alpestre oltre ogni aspettativa. Siamo circondati da picchi rocciosi e canaloni ancora pieni di neve. Il sentiero è molto affollato perché il percorso è la maggiore attrattiva dell’isola. Ci sono anche alcuni muli attrezzati per il pronto soccorso. Durante la discesa vediamo finalmente le famose capre Cri Cri, specie simile ad uno stambecco nano, autoctona dell’isola ed ora severamente protetta. Scendendo, il paesaggio cambia gradualmente, fino ad un villaggio, ormai abbandonato, al centro delle gole. Questi luoghi, quasi inaccessibili, furono teatro di aspri combattimenti tra i partigiani cretesi e i turchi durante i secoli del dominio ottomano e con i tedeschi durante l’occupazione nel corso della seconda guerra mondiale. Inutile dire che gli uni e gli altri godono ancor oggi di poche simpatie a Creta, anche se i tedeschi costituiscono il gruppo di turisti più numeroso (ma la Merkel e Schaeuble incombono sinistramente). Attraversiamo decine di guadi e di ponti, fino al punto più stretto (meno di tre metri) e quindi arriviamo al mare ed al villaggio di Aghìa Roumèli, dove trascorriamo allegramente la sera, allietando gli avventori stranieri del ristorante con un ricco repertorio canoro che spazia tra le varie regioni italiane. Il settimo giorno, oltre alla camminata, facciamo finalmente un ricco bagno, nei pressi della taverna di Marmara, segue il tratto più alpinistico (primo grado inferiore), per attraversare un promontorio roccioso a picco sul mare. La zona è popolata da pecore e capre ed uno di noi, avventurandosi in una grotta, trova un corno di capra, forse proprio di quella della mitica capra Amaltea che nutrì Zeus fanciullo proprio nelle montagne di Creta. Poiché, come tutti sanno, il corno della capra Amaltea è divenuto poi la “cornucopia”, da cui scaturisce senza sosta un getto di denaro e preziosi, si affretta a nasconderlo nel proprio zaino. Arriviamo finalmente a Loutrò, ridente paesino cui si arriva soltanto a piedi e a dal mare, altro ottimo bagno e ottima cena. Tuttavia ogni rosa ha le sue spine. L’albergo ha ben cinque piani, disposti a scalino sul fianco della montagna e, naturalmente, non esiste ascensore. I maschietti si sobbarcano le valige delle signore, che sono sempre più pesanti (le valige, non le signore…) di quelle degli uomini. Finalmente, anzi purtroppo, siamo giunti all’ultima tappa. Ma finiamo in bellezza con le famose gole di Aradèna, che percorriamo in salita in un grandioso e riarso paesaggio, mentre sopra di noi volteggiano i grifoni. La mulattiera diventa un aereo sentiero tibetano, che culmina con un ponte gettato a ben centoventi metri di altezza, dono di un emigrante che fece fortuna in terre lontane, dono che tuttavia non impedì lo spopolamento del suo villaggio natio, ormai semi abbandonato. Raggiungiamo l’aeroporto, pensando di spiccare il volo per casa, ma Easy Jet ha altri programmi. Il volo è cancellato e ci portano in albergo per la notte e ci dicono che partiremo nel pomeriggio del giorno successivo. Prendiamo la cosa con filosofia e, divisi in due gruppi, incominciamo a fantasticare sui prossimi trek.

Giorgio Inaudi

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