ARCHIVIO GITE 2017: Benvenuti a San Ciproburgo

20-27 maggio 2017: Ci sono momenti, nella vita di ognuno, in cui si ha la sensazione, anzi la percezione, di essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato. A Cipro avrò spesso la sensazione di essere nella Russia ortodossa di Putin, anzi degli Zar di santa memoria, Mi succede anche al check-in di Malpensa, dopo un’ora e mezza di coda nella calura. Si stava così bene in montagna, al fresco! Chissà perché ho deciso di andare a Cipro, soprattutto in questa stagione? Ma per fortuna mia moglie mi richiama all’ordine, perché quello di Cipro si rivelerà una piacevole esperienza. All’aeroporto di Larnaka ci attende il Gran Maestro del Rigidissimo Ordine di Naturaliter, il famoso Pasquale, che ci presenta anche l’autista, Vàsos, un simpatico colosso dalla voce stentorea (per chi non lo ricordasse, Stèntore è un personaggio dell’Iliade, passato alla leggenda perché aveva la voce di cinquanta uomini). Ci scarrozzerà per l’isola durante l’intera settimana, con la sua simpatia, le sue canzoni cipriote e la sua possente voce baritonale.

Il trek inizia con la visita di un tratto di costa con spettacolari erosioni, le Grotte dei Giganti. In precario equilibrio sopra un grande arco naturale alcuni giovani ballano allegramente, bevendo a garganella da bottiglie di vino. Sono Russi, i primi, ma non gli ultimi che incontreremo nelle giornate successive. Ci mettiamo in marcia e attraversiamo un campo di meloni. Sono maturi e la tentazione è troppo forte: qualcuno di noi si dà al saccheggio, anche se poi diranno che sono stati regalati dai contadini che li raccoglievano. Per qualche giorno dagli zaini continueranno ad uscire meloni, dolci e saporiti, mentre meno successo avranno, nei giorni successivi, le carrube che pure costituiscono un pilastro della produzione agricola cipriota, usati come dolcificante.

Arriviamo in albergo e poi subito cena in taverna (qualcuno ricorda la “banda di tavernicoli” del trek a Creta). La cena è una vera crapula, con i camerieri che continuano a portare pesce fritto a volontà. Anche il vino è a volontà e quando ci alziamo da tavola, la comitiva rientra in albergo cantando a squarciagola.
Il giorno successivo si incomincia seriamente, con la visita dell’antichissima chiesa di San Lazzaro, dove sono conservate le reliquie dell’amico di Cristo che, dopo la Resurrezione, venne a Cipro e ne fu il primo vescovo. È la prima delle numerose chiese ortodosse che visiteremo, intrise di un fascino arcaico e solenne, che non si percepisce soltanto nelle candele, nei canti, nella fluente barba del pope. Un fascino che noi scismatici abbiamo perso da tempo o forse non abbiamo mai avuto. Ho detto noi scismatici perché la nostra guida, Olga, una signora bravissima, ci informa che la Chiesa cipriota è autocefala (cioè indipendente) dalle altre Chiese ortodosse, da cui noi cattolici ci separammo tempo addietro, nel 1054, quando il Papa e il Patriarca di Costantinopoli si scomunicarono reciprocamente perché in disaccordo su alcuni temi fondamentali, come la questione se lo Spirito Santo discenda soltanto dal Padre o anche dal Figlio.
Nella chiesa incontriamo file solite file di Russi (tra cui molti giovani), che fanno ordinatamente la coda per baciare le sacre reliquie e le icone e facendo il segno di croce tre volte (toccando la spalla destra anziché la sinistra come facciamo invece noi scismatici di rito latino). Divergenze meno remote (e tutto sommato meno tragiche) emergono nel pomeriggio, quando arriviamo alla capitale Nicosia divisa, come tutta l’isola dal 1974, in una zona turca e zona greca. Il solito erudito pedante del gruppo imbastisce una sintesi di storia cipriota, illustrando le successive dominazioni siriane, egiziane, romane, bizantine, francesi, veneziane, ottomane e infine inglesi. Anche i Savoia, per una questione di eredità contese con i Veneziani, rivendicarono fino a tempi abbastanza recenti la corona di Cipro, insieme a quella, ancor più improbabile, di Gerusalemme. L’indipendenza (dal 1960) portò presto alla divisione, quando, nel 1974, i Turchi sbarcarono un esercito e si presero con la violenza la parte nord dell’isola, provocando un vero e proprio esodo da pulizia etnica e trasferendovi anche centinaia di migliaia di Turchi anatolici, per rendere l’occupazione irreversibile. Per questo i Greco-ciprioti non accettano la presenza di questi vicini e parlano di “territori occupati”. Benvoluti in quelle parti del mondo in cui non ci sono mai stati, i Turchi sono piuttosto impopolari nella parte greca di Cipro e impareremo presto che nei bar, per prudenza, è meglio non ordinare un “caffè turco”, ma piuttosto un “caffè cipriota”.
Andiamo a visitare la parte turca ed è un’esperienza interessante per chi, come me, si è perso l’occasione di andare a Berlino est prima della caduta del muro e si è dovuto limitare alla visita del Museo del Check Point Charlie. Bisogna sapere che la parte greca è una repubblica indipendente, parte della UE (che Dio ce la conservi!) e dove circola l’euro (che Draghi ce lo conservi!), mentre la parte turca, riconosciuta soltanto dalla Turchia, è di fatto parte della repubblica turca (che Allàh e Erdogan la conservino, ma da un’altra parte…). Quindi prima check-point greco, poi breve tratto di terra di nessuno e quindi check-point turco. Al ritorno stessa trafila. Inutile dire che gli euri sono ben visti anche dalla parte turca. Qui siamo veramente in Turchia, donne velate, narghilè, il richiamo dl muezzìn… Come tenace assertore di un’identità europea di matrice greco-romana e cristiana, cupi presentimenti mi affollano la mente. Ma poi un buon pasto (alla turca) nell’antico caravanserraglio mi rasserena. Come sempre io bevo soltanto acqua, ma sono rassicurato quando vedo che gli onnipresenti Russi ci danno dentro con il vino e con la birra. Almeno sotto questo punto di vista questi Turchi sono tolleranti, almeno per ora… Gli onnipresenti Russi infatti affollano le due parti dell’isola. Nei ristoranti addirittura il menu è spesso scritto in cirillico e addirittura si può gustare (?) il borsch, la classica zuppa russa di barbabietola. I motivi di questa pacifica invasione stanno nel clima, nel vino, nella cucina, ma anche e forse soprattutto nel fatto che i Russi ritrovano qui, nelle suggestive chiesette ortodosse quelle radici identitarie che nel loro paese sono state recise per sempre in settant’anni di comunismo ateo.

Visitiamo una bellissima chiesa gotica trasformata in moschea, mentre uno di noi, fotografo appassionato, non resiste alla tentazione di fotografare le donne velate, ignaro del pericolo che sta correndo. Nella stessa giornata troviamo ancora il tempo di visitare il grande lago salato e un’altra moschea, quest’ultima ancora aperta al culto islamico malgrado si trovi nel settore greco.
Nei giorni successivi, dopo tanto mare, ci godiamo finalmente una meritata pausa di montagna. Sono i Monti Troodos, che sfiorano i duemila metri e dove siamo alloggiati in un vero albergo di montagna, con tanto di sci sopra il caminetto (acceso, come anche i termosifoni). La serata è allegra, il vino è buono e ognuno ha diritto ad un bicchiere ben colmo. Ma molti sono astemi e così coloro che non sono astemi sono costretti a bere per quattro. Il dopo cena trascorre con il coro offerto agli altri clienti dell’albergo, diretto dal maestro Matteo Bucciarelli con l’accompagnamento dell’armonica di Renzo Panciera.
Il giorno dopo, invece, si sfiora la tragedia. Partiamo per un’escursione attorno alla più alta vetta dell’isola, il monte Olimpo, niente meno. Occorre dire che non si tratta dell’Olimpo della Grecia propria, nel nord della Tessaglia, ma di un’omonimo monte che probabilmente è la vera dimora di Zeus tonante. Come dovremo accorgerci ben presto. Partiamo in un’alba tragica, con il temporale incombente, ma in un bellissimo ambiente di giganteschi pini neri. Ad un tratto Zeus/Giove, più volte evocato dal solito pedante, si rivela in tutta la sua potenza olimpica. Tuoni, fulmini, saette, cui fa seguito una grandine sempre più fitta, che presto ricopre tutto il terreno come neve. Si assiste a scene degne della ritirata di Russia ai tempi di Napoleone, mentre la lunga fila di snoda arrancando nella gelida fanghiglia. Una fanciulla rimasta indietro, che sta per perdere l’uso delle mani a causa del gelo, viene salvata da un paio di calzini di lana (di dubbia pulizia) trovati provvidenzialmente in fondo a uno zaino. Fradici e intirizziti riusciamo a riguadagnare il rifugio, dove ci lecchiamo le ferite accanto al fuoco. Nel pomeriggio andiamo a rendere grazie per lo scampato pericolo nell’ennesimo monastero, anche questo brulicante dei soliti Russi che pregano, baciano icone, mangiano e bevono (soprattutto bevono..).
Il giorno dopo, che abbandoniamo il monte (sigh!) e scendiamo al piano, naturalmente il tempo è bellissimo. La discesa lungo un idilliaco vallone percorso da uno dei -rari- ruscelli di Cipro. Arriviamo ad un bellissimo ristorante, dove Naturaliter ci offre un’ottimo pranzo a base di trote del ruscello. Quindi è di nuovo pullman e di nuovo monastero, dove acquisto una quantità industriale di dolci ciprioti, che mia moglie certamente non mi permetterà di mangiare (ma si vive anche di speranze e di illusioni..). Arriviamo all’albergo dove trascorreremo le ultime tre notti, cullati dal traffico delle auto proprio sotto la mia finestra.
L’indomani nuova sorpresa. Ricordate le gole di Creta ovest? Bene, quella di Akvas non è altrettanto lunga, ma è molto più selvaggia e fiorita e mette a dura prova le nostre (rugginose) capacità arrampicatorie. Dopo di che ci dividiamo, un gruppo di gaudenti (tra cui, ci tengo a sottolineare, non io) va a gozzovigliare nella vicina taverna, mentre i più sportivi tentano un bagno arrischiato nel mare agitato. Segue lungo rientro al pullman, nella polvere sollevata dai soliti Russi che viaggiano in fuoristrada e quad.
La vera chicca del trek è il penultimo giorno, quando, dopo una lunga traversata con una vista spettacolare sul mare sottostante, arriviamo al famoso bagno di Venere (che qui si chiama Afrodite, ed asseriscono che è nata proprio da queste parti). Il bagno è una bellissima grotta, nella quale sgorga una copiosa sorgente di acqua freschissima. Impossibile non fare una foto di gruppo delle veneri della GEAT, che si prestano volentieri in posa vezzosa. Ma il più bello viene quando il generoso Pasquale ci offre un breve safari in fuoristrada (altra cosa da Russi..) fino a una spiaggia da sogno, dove facciamo un bagno da favola.
L’ultimo giorno ci attende un rientro faticoso (arriveremo a Torino nelle prime ore del giorno successivo), ma ci attende ancora una interessante visita alla Cipro archeologica, nella antichissima città di Pafos. Da ammirare soprattutto i mosaici di tarda età romana, estremo ma suggestivo documento artistico di una civiltà pagana ormai soccombente, vero canto del cigno di un mondo che stava finendo di fronte al trionfo delle religioni rivelate, prima da Cristo e poi da Maometto, che hanno plasmato la Cipro che abbiamo conosciuto. Di nuovo pensieri inquietanti mi affollano la mente, quando penso che anche il nostro mondo forse è al crepuscolo…

Ma godiamoci il crepuscolo. Inutile dire che nel viaggio del ritorno non sono il solo ad incalzare Marialuisa sui prossimi appuntamenti.

Giorgio Inaudi

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