ARCHIVIO GITE 2017: Monte Bellino 2942m

9 aprile 2017: Avete notato come soltanto l’omissione di una consonante stravolga completamente il significato di un nome? E’ quello che è successo a me nel momento in cui mi sono accinto a scrivere il titolo della relazione di questa straordinaria giornata: forse un lapsus freudiano, dirà qualcuno che conosce le mie inclinazioni…
Ah, dimenticavo! Questa relazione abbiamo deciso di farla a due mani, è per quello che c’è il mio nome all’inizio: perché comincio io, poi seguirà uno dei due protagonisti di una giornata che si rivelerà piena di sorprese. Intanto cominciamo col dire che continua la serie dei partecipanti a due cifre (un ottimo segnale per la Geat) ed ancora è buio pesto quando in otto ci troviamo davanti a Mirafiori (anche questa volta mi riprometto che sarà l’ultima levataccia della mia vita), ma è perché le previsioni non sono buone per il pomeriggio e un cielo un po’ grigio starebbe a confermarlo quando, alle prime luci dell’alba imbocchiamo la tortuosa ma sempre pittoresca Val Maira. Anche se so perfettamente di annoiare tutti con i miei ricordi, non resisto proprio alla tentazione di raccontare ai miei compagni di viaggio come pieni di entusiasmo e di freddo la risalivamo in moto, pronti per un assalto all’ultimo chiodo a quella che rimane pur sempre il simbolo di questa valle: la famigerata Rocca Castello. Che nasconde le sue pareti rosse e verticali dietro una Rocca Provenzale dalle linee più morbide, che domina l’ultimo avamposto della valle: la Chiappera, dove ci incontriamo con gli ultimi due partecipanti già in trepidante attesa. La strada continua sgombra dalla neve e di soppiatto controllo ogni tanto i metri da sottrarre ai 1328 indicati nel calendario per la gita di oggi, con un piacere inversamente proporzionale a quello di Andrea che si domanda quanto resisterà la coppa dell’olio alle asperità del fondo stradale. Alla fine saranno ben 250 circa, noto con malcelata soddisfazione, mentre il mio preoccupato amico all’arrivo controlla eventuali macchie sospette sulla strada appena percorsa. Come al solito quel sito galeotto, che non nomino neppure, ci ha rovinato la festa con la relazione entusiasta di pochi giorni or sono proprio sulla meta per la quale solo noi potevamo accampare dei diritti, avendola messa in calendario in tempi non sospetti: dalle macchine che ci obbligano a laboriose manovre di parcheggio, calcolo che davanti a noi ci saranno almeno cento persone: per di più, penso io, mi obbligano anche a percorrere con gli sci sulle spalle qualche minuto in più rispetto ai 15 preventivati. Basta così, inutile che mi lamenti come al solito: il tempo è diventato bellissimo rispetto a venti anni fa, che c’era la nebbia e non avevo nemmeno visto la punta, e poi fa abbastanza freddo da prevedere una neve da leccarsi i baffi sia in salita che in discesa. Dopo un primo tratto in cui la scarsità ormai della neve ti obbliga a qualche equilibrismo fra erba e pietre, noto con soddisfazione che è una gita con un terreno da sci splendido, con pendenze sempre varie, mai eccessive, proprio come piace a me, come le gite di una volta insomma. A circa metà adotto la strategia vincente dello scafato scialpinista: metto i coltelli, anche se so bene di correre il rischio di non essere più in grado di rimettermi poi gli sci. Nessuno mi imita ma io non faccio neanche una curva mentre gli altri sono impegnati nelle solite antipatiche “gouche” (che poi a me non vengono più neanche bene) e così tutto solo arrivo in punta un quarto d’ora prima degli altri, se si escludono le cento persone che sono già su a schiamazzare e a rovinarmi la sublime atmosfera che si respira sulle vette. Per fortuna se ne vanno via tutti mentre la Geat come al solito arriva in ordine sparso e così nel giro di poco la vetta è tutta nostra per la foto ricordo senza immaginare quello che capiterà fra poco.
E noi quindi ignari di tutto ci tuffiamo nell’ebbrezza di una discesa che si rivela per quello che si immaginava: perfetta, cioè da “sogno”. Ma si sa, come dice un proverbio, “Un bel sogno… dura poco”

Alberto Marchionni

Allora riprendiamo il racconto. Dalla neve velluto e dal vento della discesa passiamo al vento delle pale di un elicottero, precisamente l’I-GREE della regione Piemonte, bianco e rosso.
Siamo tutti a circa 2400 m , intorno al nostro amico Flavio di Savona che senza quasi accorgersene in un cambio di pendenza e di consistenza della neve ha cercato di esplorare gli strati piu’ profondi e..la tibia destra ha ceduto. Ovviamente che fosse la tibia ce lo hanno detto poi dal pronto soccorso, abbiamo tutti temuto per il ginocchio. In realtà per qualche minuto abbiamo pensato che ce la facesse a riprendersi, ma il fatto che non riuscisse per nulla a muovere la gamba non era un buon segno. Maurizio e’ sceso poco prima, per fortuna forse un centinaio di metri son bastati, a cercare campo per azionare il sistema Georesq, che ha prontamente funzionato. Flavio bene non stava, e forse poco potevano il the’ caldo che ancora ci restava, e le solite battute sdrammatizzanti. Comunque il soccorso dal cielo e’ arrivato in una mezz’ora, il valloncello era ampio e per calare il soccorritore e poi il medico non ci sono stati problemi. Le consegne le istruzioni sono chiare: durante l’avvicinamento dall’alto del velivolo spostarsi tutti con tutte le attrezzature, sci e zaini, in modo da non intralciare. Mi lasciano solo con Flavio. Pochi minuti dopo l’Agusta Westland AB139 e’ sopra di noi. A questo punto succede l’imponderabile: avevamo visto lei, L.3841, in gita solitaria, salire in cima proprio mentre noi inziavamo la discesa: ora lei compare improvvisamente, vede l’elicottero che scende e si proietta, spinta da curiosità a tutta birra verso di me e Flavio. La manovra e’ in pericolo, ma L. viene prontamente placcata da uno dei nostri che ha intuito il movimento. A questo punto tutto fila liscio, infortunato e soccorritore salgono insieme imbragati, poi e’ la volta del medico.
Noi siamo tutti un po’ così, abbiamo con noi gli sci di Flavio, il sacco se lo son preso con lui. Inizia la restante discesa, siamo lenti e un po’ svogliati, la neve si e’ decisamente ormai mollata e ora siamo davvero gli ultimi. Intanto si fan congetture varie su cosa fare dell’auto dello sfortunato e varie amenità per sdrammatizzare. Qualcuno infila una pietra a discreta velocità, cercando di finire in bellezza la giornata già un po’ controversa, e viene percio’ duramente minacciato. Inoltre Alberto scompare misteriosamente dietro le rocce non distante dalle auto, ma questa e’ un’altra storia, verrà comunque ritrovato.
Appena alle auto la buona notizia, lo hanno già ingessato e dimesso, la moglie ci incontra alla Gentil Locanda per riprendere l’auto. A parte gli scherzi, e una relazione un po’ romanzata, un grande ringraziamento alla tecnologia e gli uomini del Soccorso Alpino.

Andrea Piana

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© Foto di Andrea Piana, Flavio Paolucci e Daniela Armand Ugon

 

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