ARCHIVIO GITE 2019: Skiathos

Isole Sporadi, Mar Egeo

Di nuovo Grecia! Si accavallano i ricordi piacevoli di Creta e di Cipro, mussakà e suvlakì, ouzo e baklava, insalata con i cetrioli, yogurt al miele… Un Paese che per certi versi ci è familiare perché assomiglia al nostro mezzogiorno, ma anche un po’ elusivo, dove “né” significa si, mentre “oki” vuol dire no. Dove chi ha fatto il classico rimane deluso, perché “acqua non ha niente a che vedere con “idro”, ma si dice “nerò” ed anche il vino si chiama “cratì” invece di “òinos”.
Con questi sentimenti, al richiamo di Maria Luisa e di Mario si riunisce, come ogni anno, la confraternita dei “tavernicoli”, cosiddetti perché assidui frequentatori di “taverne”, che sono poi quelle che noi piemontesi chiamiamo “piòle”. E’ un gruppo collaudato, con le sue dinamiche interne anch’esse collaudate nel bene e nel male, come nel ménage di certe vecchie coppie. Quest’anno, però, scopriamo con piacere che ci sono anche due ragazze più giovani, che si riveleranno non soltanto carine, ma anche molto simpatiche.
Le notizie che circolano non sono affatto rassicuranti. L’isola prescelta, Skiathos, è un paradiso balneare e sarà piena di giovani rumorosi, di discoteche, di birrerie. Qualcuno ha interrogato internet e ha scoperto che l’isola è uno dei punti più piovosi della Grecia. Il panico si diffonde quando viene fuori addirittura che l’aeroporto di Skiathos è il più pericoloso d’Europa.
Per fortuna, ci accorgeremo presto che sono notizie fuorvianti. Il turismo balneare si concentra nella via centrale della cittadina, i turisti sono in gran parte inglesi e tedeschi piuttosto avanti con gli anni (e con il giro di vita…). Accanto a spiagge alla moda, come la mitica Koukounaries, accessibili in bus, ve ne sono altre selvagge, raggiungibili a piedi oppure con il noleggio di una moto o di un quad. L’interno è selvaggio e incontaminato, solcato da pochi sentieri messi in valore, anche qui come a Creta, da un tedesco appassionato dell’isola. Le piogge abbondanti permettono la sopravvivenza di una lussureggiante foresta di alto fusto, la caratteristica dell’isola, che non ci aspetteremmo in un’isola mediterranea.
Quanto all’aeroporto, bisogna ammettere che in parte è vero: per atterrare a Skiathos i piloti devono essere in possesso di una patente speciale, così come in alcuni pochi altri luoghi. L’aeroporto, che ha fatto la fortuna di Skiathos (siamo a due ore di volo da Caselle, ma soltanto nei mesi di giugno e settembre) sembra sia stato costruito dal famoso e ricchissimo armatore Onassis (il marito della Callas e di Jaqueline Kennedy) che lo volle perché nell’isola viveva una sua zia (alla quale evidentemente era assai affezionato). La pista fu costruita colmando un braccio di mare con una vicina isoletta. C’è un’unica pista breve, stretta e in salita, dove gli aerei non possono sostare, ma devono ripartire immediatamente per fare posto al volo successivo. Pare che il pericolo sia soprattutto per l’atterraggio, mentre il decollo non comporta alcun rischio. E’ questa la ragione per cui i turisti, una volta arrivati sani e salvi, vanno poi a godersi lo spettacolo degli aerei che passano rombando a pochi metri da terra… e da loro!
Voliamo con una compagnia rumena. Le hostess sono molto carine, ma non amano essere fotografate, come si accorgerà, a sue spese, uno di noi…
All’arrivo siamo confortati dalla presenza rassicurante di Antonio, che molti di noi già conoscono, che sarà con noi per tutto il trek, trovando sempre la risposta giusta a tutti i problemi piccoli e grandi, sempre senza perdere la calma. C’è con lui un altro giovane, che dice di chiamarsi “Frìdom” (non “Freedom”), e spiega che porta il nome dei due nonni, Federico e Domenico. E’ persona di grande cultura, ottimo conoscitore del greco (antico ma anche moderno), anche lui simpatico e disponibile, che ci accompagnerà per la prima parte del trek.
Gustiamo un’ottima cena di pesce e finalmente il meritato riposo, soprattutto per coloro che hanno avuto la fortuna di una camera d’albergo che si affaccia sulla strada della “movida”, cullati dal vivace brusio della vita notturna di Skiathos.

Al mattino, ottima e abbondante colazione in un bar che si chiama “Il Posto” e poi la partenza vera e propria per il trek. Purtroppo piove e bisogna subito modificare il programma, come avverrà anche nei giorni successivi. Per questo motivo sarà piuttosto difficile seguire i nostri spostamenti sulla base del programma e delle carte. Basterà dire che il primo giorno non è certamente esaltante, obbligati come siamo a rientrare in albergo dopo una breve camminata, inzuppati e infreddoliti.
L’indomani minaccia ancora pioggia, ma partiamo lo stesso. Facciamo bene, perché il tempo migliora e ci godiamo un bellissimo ambiente di foresta, con pittoresche insenature ed un suggestivo monastero, dove il tempo sembra essersi fermato. C’è anche una taverna, che però sta chiudendo i battenti per il fine stagione ed offre soltanto da bere. Alcuni di noi, le solite cicale, non hanno pensato di portarsi almeno un panino e sarebbe fame nera se il previdente Antonio non ci soccorresse con barrette e banane. La cena è abbondante ma vegetariana, come spesso avviene con la cucina greca, assai ricca di verdure e di legumi.
Il giorno successivo tempo bello e ci attende una delle perle del trek: niente meno che il “bosco incantato”, secondo la definizione – azzeccata – del solito tedesco. Immaginatevi una valletta ombrosa percorsa da un ruscello sussurrante che scorre in mezzo a giganteschi platani. Alcuni sono cavi all’interno e si può immaginare che siano abitati da qualche fiabesco “piccolo popolo” di elfi o di gnomi. Sul nostro sentiero si disputa una maratona e bisogna decidere se mantenere il ritmo dei marciatori oppure cedere il passo ogni volta al loro sopraggiungere. Si decide per la seconda opzione e, ad ogni passaggio, li incoraggiamo con una sonora ovazione. C’è anche il tempo di sostare in un monastero tra i più famosi dell’isola, quello di Kechria, ed anche in una taverna (questa volta aperta…), ma – soprattutto – facciamo finalmente il BAGNO! Alla sera, per coronare la giornata, ceniamo nel vecchio centro. Gustiamo una seppia prelibata, tanto tenera che si scioglie in bocca e siamo allietati da musica rigidamente greca, con chitarra e mandolino. Uno di noi, noto appassionato di ballo, non resiste alla suggestione dell’ambiente e si lancia in sensuali passi di danza, presto avvolto in un cerchio di fuoco. Viene subito in mente Zorba il Greco… mentre al Tsirtaki si mescola un italianissimo (anzi napolitanissimo) “Sole Mio”. Grande successo tra gli avventori nordeuropei del ristorante, mentre una fanciulla tedesca tenta addirittura di baciare il ballerino!
L’indomani è subito BAGNO! Arriviamo finalmente alla spiaggia delle spiagge: KOUKOUNARIES!, unanimemente riconosciuta per essere – di gran lunga – la più bella dell’isola e, a detta di molti, anche del mondo. Di bagno in bagno proseguiamo, lasciandoci alle spalle anche i lidi preferiti dai naturisti (noti da noi come “nudisti”), ma il passaggio avviene senza problemi perché il più accanito dei nostri fotografi oggi ha marcato visita, accusando una forte tallonite. La giornata si conclude con il periplo del “biotòpo” che risulta essere non già un topo allevato senza mangimi chimici, ma una laguna protetta per la sua biodiversità.
Dopo le mollezze delle spiagge, viene il giorno in cui bisogna affrontare le vette. Sono due picchi che superano i quattrocento metri di altezza, con tanto di rocce e corde fisse. Purtroppo piove di nuovo e qualcuno rinuncia. Per confortare i pavidi e festeggiare i più coraggiosi, nel pomeriggio viene organizzato un aperitivo in un locale alla moda.
Visitiamo un ultimo grande monastero, che fu anche punto di riferimento per i patrioti che nel 1821 liberarono la Grecia dai Turchi. e quindi l’ultimo sforzo del trek: la salita a Kastro, sull’estrema punta nord dell’isola. Un luogo dirupato da ogni parte, a picco sul mare, collegato al resto dell’isola soltanto da un aereo passaggio sul quale si transitava attraverso un ponte levatoio. Fu qui che gli abitanti di Skiathos si rifugiarono nei secoli bui del medio evo, quando la loro città era facile preda ed anche base di pirati. Rimangono i ruderi suggestivi delle tante casette e alcune chiese. E’ sorprendente per noi l’amore con cui ancora oggi vengono officiate in occasione di alcune alcune festività e soprattutto mantenute nel loro splendore malgrado il luogo sia abbandonato da tempo. Anche il rito ortodosso appare profondamente arcaico e suggestivo, più che mai lontano da quello cattolico romano (o da quello che rimane di esso…). Le icone, le candele, persino le campane sono diverse, espressione di una religiosità semplice e spontanea, sopravvissuta nei secoli al potere temporale e al mutare dei tempi.
Viene il momento di rientrare, quando finalmente si affaccia il bel tempo stabile, ma non prima di aver visitato la cittadina nei ripidi vicoli del centro storico, guidati da Martina, una simpatica giovane che padroneggia bene la nostra lingua. Da lei apprendiamo che nel XIII secolo l’isola fu per circa un secolo un possedimento dei Veneziani che nel 1206 avevano espugnato Costantinopoli. Fu un dominio feudale fiscale ed esoso che perseguitò il culto ortodosso e lasciò tra gli isolani un ricordo talmente cattivo che essi accolsero poi con entusiasmo l’arrivo dei Turchi, sulle navi del terribile pirata Barbarossa.
E’ il momento dei saluti e dell’arrivederci. Un grazie ad Antonio e Fridom, che tengono alto il prestigio di Naturaliter e – ancora una volta – a Maria Luisa e Mario per la pazienza e le attenzioni che hanno dispensato a tutti. Avanti verso nuove avventure…

Giorgio Inaudi

GALLERY

© Foto di Luciano Alemanno, Maurizio Bortott, Antonio Carretta, Roberto Merlo

 

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