ARCHIVIO GITE 2019: Uja di Calcante 1614m
12 maggio 2019 – Viù
È Maggio, ma non si applica! Gita in sostituzione dell’Assietta dal programma annuale GEAT, annullata per troppa neve Un inverno secco, poi la primavera che invece del disgelo ci porta la neve, anche questo è un segno del cambiamento climatico in atto. Ecco allora la proposta di salire la bella e panoramica cima dell’Uja di Calcante di 1614 m.
Appuntamento alle 8 e 15 nella piazzetta di Viù , siamo in 19, in 20 con il cane Otto. Si parte dalla scalinata dietro all’ormai famoso Pinocchio, o almeno qui dovrebbe essere, assente giustificato per restauro. Si comincia in mezzo alle case seguendo il segnavia CAI n. 134 fino alla frazione Lajolo, poi il sentiero si inoltra nel bosco. Giungiamo così alla bella e grande radura del Colle di Cialmetta o Chialmetta 1305 m con la piccola chiesetta di S. Michele. È davvero un bel posto… “e ti vorie nen ven-e !”.. in piemontese arrangiato tradotto in italiano “e tu non volevi venire!“.
Si riparte, il sentiero diventa man mano più ripido e con stretti tornanti, arriviamo al tratto finale su roccette che superiamo con qualche passaggio delicato che come dice Paulin “sfiora il primo grado inferiore”. Siamo tutti in cima all’Uja , manca la croce che è stata recentemente distrutta da un fulmine.
Dopo una sosta relativamente lunga, spinti anche dal freddo giunto quando è andato via il sole, cominciamo la discesa dalla parte opposta. Inizialmente il sentiero è ripido ed un po’ roccioso, comunque più facile di quello di salita ed arriviamo al Colle di Pra Lorenzo 1388 m. Verso destra seguiamo il sentiero n. 135 che si inoltra in un bel bosco di pini, pervaso da buon odore di resina che mi ricorda Dimitri con il suo vino resinato greco. Dopo un certo tempo incrociamo il sentiero che scende a Fubina (più in basso di Viù), ma noi continuiamo verso destra e con mia sorpresa ci troviamo a camminare su quella che sembra una strada militare, tipo una mulattiera ben lastricata. Una balconata sulla valle, costruita in passato con i grossi massi del posto, con lunghi muri a secco ed alcuni tornanti spettacolari uno sopra l’altro! Il tutto realizzato su pendii alquanto esposti. Restiamo ammirati da quanto ingegno ed impegno hanno messo quella gente con la scarsa attrezzatura di cui disponevano a quei tempi!
La mulattiera fu costruita dalla Forestale, nell’ambito di un progetto di rimoboschimento del versante, per migliorarne la stabilità, in quanto il versante era nudo e franoso. Era questa una situazione molto comune sulle montagne italiane a fine Ottocento: il «disordine idrico», come era chiamato allora il dissesto idrogeologico, era diffuso e visto come una minaccia, anche in vista dello sfruttamento idroelettrico dei bacini montani, allora in nuce. Era perciò sorto un movimento di opinione a favore nei rimboschimenti. Un primo tentativo fu fatto dai corsorzi provinciali deputati a inizio Novecento, ma la foresta fu distrutta dal pascolo durante la Prima Guerra Mondiale, a causa dell’allentata vigilanza. Durante la Grande Guerra era però emersa l’importanza del legno nelle costruzioni militari. L’Italia ne era un importatrice (soprattutto dall’Austria) e perciò la spinta ai rimboschimenti riprese vigore. A cavallo del 1930 un ulteriore progetto, su scala più ampia, ebbe maggior successo, anche grazie alle contemporanee leggi che penalizzavano il pascolo caprino. Stavolta fu la Forestale ad agire, in quanto essa aveva il compito di assicurare il rifornimento di legname per i vari corpi dello Stato in pace e in guerra. La specie più usata fu il pino nero, un’essenza non presente nella vegetazione autoctona, che in quegli anni ebbe largo impiego, perché già nei primi esperimenti di inizio secolo aveva mostrato doti di rusticità e adattabilità.
La mulattiera, come altre analoghe altrove, fu fatta come opera compensativa a beneficio dei montanari, che non amvano questi rimboschimenti, in quanto i vincoli posti a protezione del bosco limitavano la libertà di pascolo e di legnatico. Aveva il duplice scopo di migliorare la viabilità in territori disagiati e di ammortizzatore sociale per la manodopera impiegata, nei duri anni della Grande Depressione. Chiudiamo il giro e siamo nuovamente al Colle di Chialmetta. Un bel sole ci invita a fermarci un po’, purtroppo non dura molto, un bel nuvolone oscura la vallata e l’aria fredda ci spinge inesorabilmente a muoverci per la strada del ritorno. Riprendiamo quindi la discesa verso Viù e qui finisce la gita (in totale circa 990 m di dislivello).
Complimenti a tutti i partecipanti, soprattutto ai meno allenati, per costanza e volontà! Giunti alle auto, con sorpresa troviamo ad aspettarci gli amici Rosalba e Franco. Il tempo di sistemarci un po’ e ci ritroviamo tutti al bar a festeggiare l’ottima gita in allegria con grossi gelati ed altro… Ciao a tutti, alla prossima gita.
Antonio e Maria Teresa
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