ARCHIVIO GITE 2023: Il sentiero dell’inglese

30 settembre – 7 ottobre 2023

Il nome Aspromonte deriva dal greco antico e significa “montagna bianca”: dopo aver camminato su questi monti, affacciati al mare, non posso non immaginare i naviganti, che scorgevano, sopra le verdissime foreste, le nevi immacolate delle cime. Questi navigatori, approdati lì, hanno impregnato in profondità queste valli, fintanto che la loro lingua è sopravvissuta tra i borghi delle fiumare fino ad oggi.
Tra questi paesi, sperduti e inaccessibili, purtroppo quasi spopolati, abbiamo trascorso una settimana “indimenticabile”.
Lo scrittore Edward Lear nel 1847 salì i sentieri alla ricerca dei briganti; invece trovò una cultura ricca e un’accoglienza sincera. Scrisse un diario corredato di disegni che è un’importante testimonianza storica. Il trek che ricalca i suoi passi è stato denominato Il sentiero dell’inglese; 14 Geatini lo hanno percorso in buona parte.

 

30 settembre – Pentedattilo

La nostra avventura parte dal paesino di Pentedattilo (“Le cinque dita” in greco), adagiato sul pendio del monte omonimo, chiamato così per l’aspetto delle guglie che lo formano. Un castello diroccato, dimora di duchi fino al XVIII secolo, sovrasta il borgo. Una serie di eventi sfortunati, tra cui terremoti, spopolarono il borgo, fino al suo completo abbandono nel 1971 sotto il pericolo di incombenti frane. La nostra guida, Angelo, ci accompagna nel periplo del monte. Prendiamo confidenza con i colori e i profumi dell’Aspromonte, dominati dalla Nipitella, piccolo arbusto che ricorda la menta, ma molto più aromatico e che ci farà compagnia per tutto il trek. In questi anni recenti però il borgo rinasce, grazie al turismo lento dei camminatori e l’impulso che le cooperative locali, come Naturaliter, sanno infondere nel territorio: incontriamo infatti alcuni negozi artigiani, e nel minuscolo bar, affacciato sulla valle, gustiamo la bibita autoctona al succo di bergamotto: ci disseterà per tutto il trek.

A sera giungiamo in pulmino alla frazione Amendolea di Condofuri (150 m sul livello del mare): l’azienda agrituristica “Il bergamotto” ci accoglie in casette ricavate da vecchi rustici, posizionati poco distanti dal letto della fiumara Amendolea. Assaporiamo la sincera accoglienza contadina, il profumo dei bergamotti coltivati nei giardini attorno all’azienda e la cucina a base di saporitissime verdure.

 

1 ottobre – fiumara Amendolea e Gallicianò

Partiamo dall’agriturismo con meta Gallicianò. Ci accompagna Andrea, guida del parco dell’Aspromonte: scendiamo alla fiumara Amendolea, sottostante l’agriturismo, calpestiamo i suoi bianchi sassi. In Aspromonte i corsi d’acqua si chiamano fiumare; essi sono corsi effimeri, con pochissima acqua, formatisi essi hanno eroso le valli discendenti dall’Aspromonte, trasportando sedimenti accumulatisi verso valle, formando letti anche molto estesi di pietre chiare. L’Amendolea con i suoi 31 km è la è la più lunga d’Aspromonte. L’attraversiamo e ci inerpichiamo sul versante opposto della valle salendo il pendio di ulivi. Il sentiero non ha alcuna indicazione né segno.

Sotto di noi, sul lato opposto della fiumara, appare la nostra frazione Amendolea, dominata da una collina sulla cui sommità è adagiato il castello diroccato dei Ruffo, costruito nel XIV secolo. Innalzandoci lungo il cammino, abbiamo visibilità del corso serpeggiante della fiumara, che taglia argentea le verdi leccete sulle sponde. Il nostro accompagnatore è fonte preziosa di informazioni culturali e naturalistiche: abbiamo la fortuna di scorgere il volo di alcuni rapaci, tra cui il nibbio reale, un rapace stanziale, di notevoli dimensioni, reintrodotto recentemente nel parco.

Dopo due ore di cammino siamo a Gallicianò, dove risiede una comunità grecanica molto attiva e le radici sono rimaste profonde. Ci fa gli onori di casa Mimmo, abitante e guida culturale del posto, che ci illustra le origini e le tradizioni della comunità grecanica, ci guida nella visita alla chiesa cattolica dove si officia anche con il rito ortodosso e ci accompagna a scoprire iscrizioni in greco e i monumenti nell’ordinata piazzetta centro del paese. Saliamo alcune viuzze fino al museo etnografico, dedicato principalmente all’artigianato. Tra strumenti musicali e utensili contadini dei tempi che furono, si sofferma particolarmente su un telaio per la tessitura della ginestra: fibre tessili povere, ricavate da una pianta disponibile gratuitamente in loco, permettevano di produrre coperte, tappeti e tessuti di ogni genere. In cima al paesino visitiamo il gioiello di Santa Maria in Grecia, chiesa di rito ortodosso, recentemente restaurata.

Dopo il pranzo, a base di minestra di fagioli, e un buon caffè nell’unico bar nella vivace piazza del paese, prendiamo il sentiero n.128, con cui rapidamente torniamo alla fiumara Amendolea, che ci concede acqua sufficiente per un fresco pediluvio. Il ritorno a “Il bergamotto” avviene camminando nel greto della fiumara per alcuni chilometri.

Percorsi circa 15 km con 620 m di dislivello.

 

2 ottobre – Il bergamotto e Bova

Ugo, il nostro ospite, ci conduce nel mezzo del suo giardino di bergamotti, per una presentazione della sua attività di imprenditore, intrapresa lasciando un tranquillo lavoro impiegatizio, rilevando l’attività del padre. In Calabria nasce la quasi totalità della produzione mondiale di bergamotti. Nemmeno in Israele lo si riesce a coltivare: la ragione sembrerebbe dovuta al microclima di quel piccolo tratto di Calabria, dove è bassissima l’escursione termica tra giorno e notte, circa 3 gradi, nel periodo della fioritura. Il bergamotto venne utilizzato in medicina dal ‘600, e in profumeria dal ‘700, grazie a un novarese, Giovanni Maria Fiorina, che scoprì le proprietà dell’olio essenziale come fissatore di profumi. A questo si aggiungono altre proprietà documentate più recentemente: antistress, anticolesterolo e “balsamo della felicità”, essendo appurato che agisce sugli specifici ricettori del cervello. Ora c’è un consorzio che, oltre della produzione dell’agrume, si occupa dell’estrazione dell’olio essenziale, allungando così la catena del valore, a favore degli agricoltori, la cui vita non è priva di difficoltà. Complimenti ad Ugo e al suo coraggio!

Partiamo quindi in direzione di Bova. Entriamo nella valletta ad est del nostro agriturismo e saliamo un sentiero tra querce, ulivi, peri selvatici, con bella vista sulla rocca e sul castello dei Ruffo, abbandonato definitivamente dopo il terremoto del 1908. Raggiungiamo un’area denominata il Monastero, ma di esso non rimane traccia, in quanto sui ruderi è stato costruito un frantoio, ora abbandonato. Il luogo è selvaggio, tanto che un cinghiale nero sfiora al galoppo il nostro gruppo, sparendo nella foresta.

Dopo il pranzo pic-nic, in stile Naturaliter, comodamente seduti, gustando peculiarità locali, riprendiamo il cammino, giungendo a Bova, capitale della Calabria grecanica, con faticosa salita.

In totale percorsi 8,5 km, con 800 m di salita e 200 m di discesa.

Ci ospita l’albergo diffuso di questa bella cittadina, dove in una piazzetta è stata installata una vecchia locomotiva a vapore, molto ben restaurata: ci si chiede come abbiano fatto a portarla fino lì, a 820 m d’altezza, per mezzo di una tortuosa strada di montagna.

Alle 18:00, Santina, la nostra guida, ci accompagna in un giro turistico. Bova si addossa quasi verticalmente ad una rupe di roccia e argilla, dove è sempre stato difficile costruire fondamenta solide che affrontassero le scosse sismiche. Ora le case vengono ristrutturate in accordo con le linee guida dell’Università di Reggio Calabria, utilizzando i materiali tradizionali reperibili in loco: pietre e mattoni, con particolari strutture che prevedono degli interstizi vuoti ammortizzanti, e poi travi in legno e coppi per la copertura. Il risultato estetico è molto piacevole e peculiare della zona: tra gli altri ci viene fatto notare Palazzo Nesci, la ex chiesa dell’Immacolata. Raggiungiamo il santuario di San Leo, patrono veneratissimo a Bova e in altre zone della grecanica. Qui vi sono i pannelli dipinti con la vita del santo, e il busto argenteo con le reliquie, portato in processione il 5 maggio, quando i bovesi rientrano anche da lontano per l’occasione. Saliamo alla rocca Normanna, da dove si gode uno dei più bei panorami dell’Aspromonte: le cime più alte, le fiumare, il Pentadattilo e ancora oltre la sagoma dell’Etna. Scendendo visitiamo la cattedrale di Santa Maria dell’Isodia, edificata su antica chiesa bizantina.

Discesi nuovamente alla piazzetta ci rechiamo nel ristorante della Cooperativa Naturaliter per l’ottima cena.

 

3 ottobre – Belvedere di Montegrosso

Da Bova ci innalziamo lungo una storica mulattiera, ora sentiero 109, con vista sulla valle dell’Amendolea e su bianchi borghi che risaltano nel verde della foresta: San Lorenzo, Roccaforte del Greco, Gallicianò. Terminata la salita raggiungiamo su strada il Ponte della Zita (la Fidanzata), dove riprendiamo la mulattiera, che, a precipizio sulla valle, taglia la cresta impervia. Il percorso prosegue attraverso boschi e creste, e attraversati i “Campi di Bova” giungiamo al belvedere di Montegrosso (circa 1200 m). A picco sotto di noi il paese abbandonato di Roghudi, adagiato su una rocca completamente circondata dalle fiumare.

Pranzo nell’area pic-nic della forestale con carne e pancetta alla brace.

Il ritorno avviene lungo una carrozzabile, percorrendo così un lungo anello con risalita finale per raggiungere Bova. Siamo abbastanza provati, non solo per la risalita finale, ma anche per la temperatura che non ha dato tregua.

Percorsi 19 km e 800 m di dislivello.

 

4 ottobre – la perduta gente

L’obiettivo di oggi è prendere conoscenza dei borghi abbandonati dell’Aspromonte, abitati dalla “Perduta gente”, secondo la definizione di Umberto Zanotti Bianco, un archeologo e politico, inviato dal fascismo alla fine degli anni ‘20 del secolo scorso per toglierselo dai piedi, con lo scopo ufficiale di cercare di redimere queste popolazioni, apportando loro un po’ di aiuti e di servizi: fece costruire infatti la scuola di Africo Vecchio.

Giungiamo in bus al villaggio di Carrà (923 m slm), costruito in mezzo alla foresta per raccogliere gli sfollati di Africo dopo l’alluvione del 1951. Camminiamo fino ad Africo Vecchio (690 m slm), percorrendo una strada immersa nei boschi di querce. Il paese è stato riconquistato dalla vegetazione: sono visibili solamente i resti della chiesa, alcuni portali in pietra di case borghesi, l’enorme scuola costruita da Zanotti Bianco. Il paese, nonostante fosse un comune di discrete dimensioni, era sempre stato isolato: unico collegamento l’asinello del postale che tutti i giorni compiva il tratto Bova, Casalnuovo, Africo e ritorno. Il regista Matteo Garrone ha prodotto il film Anime Nere sulla storia di Africo, girato però a Casalnuovo, per motivi di spazio.

Ritorniamo a Carrà compiendo un anello su sentiero tra i boschi di querce, che ci fa lambire l’imponente cimitero. Alcune magre mucche pascolano solitarie, cercando un po’ di cibo tra i boschi. 18 km e 300 m dislivello.

Il bus ci porta a Roghudi attraverso una strada con strettissimi tornanti in discesa, entro una gola degna del paese degli Hobbit. Il borgo giace su un cucuzzolo circondato dai corsi delle fiumare Ferria e Amendolea. I ponti che lo collegavano al resto del mondo crollarono tutti durante l’alluvione del 1971. Per questo, ne era stato imposto l’abbandono. Percorriamo lo spettrale borgo, e scendiamo sul letto dell’Amendolea (150 m slm), dove possiamo renderci conto dell’isolamento, della spettralità e della carenza assoluta di risorse dell’area tutt’attorno al paese.

Durante il tragitto di rientro all’agriturismo, ci fermiamo a visitare uno dei geositi più importanti dell’Aspromonte: la rocca del Drako e le caldaie del latte. Sono due luoghi dove la natura, attraverso l’erosione del vento e della pioggia, ha generato opere straordinarie, che hanno alimentato la fantasia dell’uomo che le trova incomprensibili ed inquietanti, alimentando leggende.

 

5 ottobre – mulini, ulivi, viti

Oggi altra immersione nella cultura e nell’etnologia grecanica: visitiamo il museo della lingua greco calabra, intitolato a Gerard Rohlfs, un altro straniero che ha amato questi luoghi, studiandone la cultura e soprattutto la lingua, individuandone l’origine magno-greca, in disaccordo con altri linguisti italiani che la datavano all’epoca dei bizantini. Il percorso museale espone interessanti reperti e fotografie, una buona parte appartenuti allo stesso Rohlfs.

Da qui parte poi la nostra camminata, che, dopo piazza Roma, scende verso la valle dei mulini. Percorriamo un sentiero in mezzo a vigneti e giardini di bergamotto, raggiungiamo la fiumara di San Pasquale, la cui acqua muove macine orizzontali precipitando da torri dove è fatta salire, secondo il principio dei vasi comunicanti, e immessa in serbatoi. Saliamo quindi verso il monte Agrappidà, lungo un sentiero panoramico che domina Bova, il Montegrosso, la fiumara di San Pasquale. Lungo il percorso, tra le querce, incontriamo l’edificio di una vecchia scuola, isolata, ma che raccoglieva bimbi da ogni dove. Seguiamo le indicazioni per Palizzi, riusciamo a combattere la calura dissetandoci a fonti incontrate lungo la strada: in Aspromonte l’acqua non manca!

Giungiamo al monte, dove, in mezzo ad un uliveto ordinatissimo, sorge una cappelletta dedicata a San Leo, la cui manutenzione è fornita da Naturaliter. Qui consumiamo il pranzo.

Dopo pranzo percorriamo una panoramica cresta, che ci porta ad un colle, da cui scendiamo nella valle della fiumara di Palizzi, dove giungiamo in circa 1 ora. Il borgo, dominato da un castello in ristrutturazione, si distingue per la produzione vinicola. Dopo una visita ad un caratteristico ponte in pietra sulla fiumara, risaliamo al paese, dove in un piccolo bar ci dissetiamo con una bibita al caffè.

In bus raggiungiamo il camping sulla costa ionica, dove trascorreremo le ultime due notti.

A piedi abbiamo percorso 13 km, 300 m di salita e 600 m di discesa. Tuttavia le calorie perse durante il cammino vengono abbondantemente recuperate nella cena, a base di pesce, preparataci dal ristorante del camping.

 

6 ottobre – monte Cerasia

In bus percorriamo la costa ionica fino a Brancaleone, poi svoltiamo verso l’interno e giungiamo a Staiti (530 m). Edward Lear terminò qui il suo cammino alla ricerca dei briganti; non trovò loro, ma gente accogliente e posti magici, che ricordò nei suoi disegni. Anche per noi qui si svolge l’ultima tappa. Iniziamo con un caffè nell’accogliente bar del paese e poi partiamo verso il monte Cerasia (1013 m). Percorriamo un’antica mulattiera con un bel lastricato, quindi una strada tra ulivi e lecci, al cospetto della costa ionica. Nel folto della vegetazione troviamo l’area pic-nic Falco, dove al ritorno ci riposeremo per il pranzo. La cima del Cerasia è un cucuzzolo, appena fuori dal folto dei lecci, di quel tanto che basta per farci godere un panorama impagabile, che cerchiamo di imprimerci per sempre nei ricordi.

Il ritorno avviene realizzando un anello lungo un sentiero posto sul bordo del bosco di lecci verso est. Incontriamo il castagno Patriarca, un tronco con diametro di 1,5 metri almeno, sempre vitale nonostante esso sia per un terzo spezzato dalla rottura di un enorme ramo. Dopo il pic-nic, torniamo a Staiti per il caffè e ne visitiamo la chiesa: il paese è abitato da 200 anime permanenti. Abbiamo percorso 13 km e 500 m di dislivello.

 

7 ottobre – Reggio Calabria

La vacanza è agli sgoccioli: carichiamo le valige sui bus diretti a Reggio Calabria, per la visita al museo archeologico, accompagnati da una guida. Abbiamo l’opportunità di soffermarci davanti ai famosi Bronzi di Riace. Chi non li ha ancora visti può rendersi conto della loro perfezione: i dettagli anatomici sono rappresentati con estrema accuratezza, la muscolatura è dotata di una fisicità tale che sembrano in movimento. Il loro ritrovamento è stato una fortuna, non solo perché sono magnifici, ma anche per le nuove conoscenze che il loro studio ha permesso di acquisire riguardo l’antica civiltà greca. Ma queste non sono le sole opere importanti presenti nel museo, la guida ci tiene a rimarcalo: essa si sofferma particolarmente sulla Testa del filosofo, in bronzo, ritrovata anch’essa in un relitto marino a Porticello, su una coppa in vetro con finissima decorazione in lamina d’oro, trovata in necropoli. Ci indica infine una scultura marmorea trovata a Cirò, forse Apollo, realizzata con capo e arti in marmo, mentre il resto del corpo non è stato trovato: si ritiene fosse costruito in legno (per risparmiare?) e coperto da vesti e per questo sia scomparso. Ma tantissimi altri sono gli oggetti preziosi che la nostra guida ci presenta con passione.

A pranzo ciascuno sceglie se pizza, arancini o altro, ma tutti ci siamo intrattenuti al chiostro di Cesare, sul lungomare, per una coppetta di gelato.

Alle 15:00 il pulmino ci porta all’aeroporto: la vacanza è proprio finita. È stata una bellissima settimana: grazie all’organizzazione professionale di Naturaliter, a tutte le guide che hanno condotto il nostro gruppetto, molto competenti, alla simpatica e affiatata compagnia, ai bellissimi luoghi visitati, selvaggi ma pieni di storia, e ai calabresi grecanici, ai quali non si può che voler bene, per la tenacia che hanno avuto e hanno nell’abitare questi luoghi e l’ospitalità con cui siamo stati accolti.

Al trek hanno partecipato: Claudia di Trento, Ottavia e Andrea di Trieste, Graziella e Roberto di Milano, Antonia, Maria Luisa, Maria Teresa, Rosalba, Rosanna, Rossana, Antonio, Franco e Maurizio di Torino.

Maurizio Bortott
Foto dei partecipanti

 

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